La Storia

Uno studio profondo e completo sulla storia del prodotto, la procedura di produzione, le condizioni di invecchiamento ed il profilo sensoriale non è ancora stato pubblicato. I documenti storici disponibili sono pochi e spesso confusi, cosa che rende la ricostruzione storica degli aceti balsamici una sfida.

Gli antichi romani, non avendo a disposizione lo zucchero di canna, che verrà introdotto nell'XI secolo da Genovesi e Veneziani, erano usi cuocere e ridurre i mosti d'uva in diverse concentrazioni che definivano come saba, defrutum e caraenum, come tramandatoci da Virgilio nelle Georgiche[3]. È facile immaginare che ben presto gli stessi latini abbiano visto prodotti delle più basse concentrazioni fermentare, ed in un secondo momento acetificare; ed infatti nel I secolo d.C. lo scrittore Columella sottolineò come la sapa o il defrutum rischiavano di fermentare ed acetificare (...solet acescere...).

Nel 1046 Enrico III, duca di Franconia, in viaggio verso Roma per essere incoronato Imperatore, chiese a Bonifacio III di Canossa di "quell'aceto tanto lodato (... che...) aveva udito farsi colà perfettissimo". Sebbene la parola "balsamico" non venga menzionata, l'importanza del prodotto è confermata dal fatto che Bonifacio gliene fece dono entro una botticella d'argento, e che Alberto, il visconte di Mantova, per rispondere in modo adeguato abbia inviato all'Imperatore numerosi cavalli, astori ed altri rapaci[1].

All'inizio del XVIII secolo il medico e naturalista Antonio Vallisnieri annota che già nel 1288, quando Obizzo II d'Este venne investito della Signoria di Modena, alla sua corte erano conservate numerose botti di aceto. Inoltre fonti frammentarie di epoca rinascimentale tramandano di differenti classificazioni delle varie tipologie di aceti presenti nel Registro Ducale Estense (1556), e del loro utilizzo secondo le diverse necessità ed occasioni.

Nel 1518 il poeta e commediografo Ludovico Ariosto, nato a Reggio e vissuto in ambito estense, scrive nella satira III indirizzata al cugino Annibale Malaguzzi un accenno all'utilizzo culinario di "acetto e sapa" come condimenti di uso comune, ponendo quindi anche un importante riferimento letterario al loro tradizionale utilizzo in area emiliana.

Prodotto raffinato, destinato solo alle tavole delle famiglie più abbienti, grazie ai Duchi di Modena e Reggio venne fatto conoscere a membri illustri dell'aristocrazia europea, tanto che nel 1764, di passaggio a Modena nel corso di una missione diplomatica, il conte Voronzov, Cancelliere imperiale di Russia, chiese di inviare alcune bottigliette alla zarina Caterina la grande. Vent'anni dopo, nel 1792 il duca Ercole III ne inviò un flacone a Francoforte come dono per l'incoronazione di Francesco II d'Austria ad imperatore del S.R.I., segno questo della considerazione che (quantomeno) il duca aveva per il prodotto delle sue botti.

L'aceto balsamico, segreto gelosamente conservato nelle soffitte della corte estense e delle famiglie aristocratiche del ducato, iniziò ad essere appannaggio della borghesia più ricca solamente a seguito dell'avventura napoleonica: per pagare debiti e fornitori l'amministrazione imperiale francese espropriò le proprietà dei vinti, e numerosi furono i beni venduti all'asta o utilizzati come pagamento in natura. In tale contesto di mutamenti economici e politici, il possesso di vaselli e batterie di aceto balsamico venne immediatamente percepito come un segno di ascesa sociale, e durante tutto il secolo si infittiscono le fonti documentali che fanno riferimento a passaggi, donazioni o lasciti testamentari legati a batterie di aceto. Anche presso la borghesia, così come era stato uso presso le famiglie aristocratiche, divenne buona regola aggiungere dei vaselli di valore alla dote della donna in procinto di sposarsi.

Iniziò così la prima diffusione delle conoscenze attorno al "balsamico", e nel settembre 1839 il conte savonese Giorgio Gallesio scrisse con ammirazione delle tecniche di produzione che aveva osservato nell'Acetaia dei conti Salimbeni di Nonantola. Il 4 maggio 1860, Vittorio Emanuele II in visita in città a seguito del plebiscito, ordinò il trasferimento dell'acetaia ducale presso il castello di Moncalieri dove l'incuria e la non conoscenza del prodotto portarono alla sua dispersione[9].

La prima e più dettagliata codifica circa le tecniche e le ricette di produzione dell'aceto balsamico risale al 1862, quando Francesco Aggazzotti scrisse una lettera all'amico Pio Fabriani in cui descrive i segreti della propria acetaia di famiglia. Nel 1863 venne affrontato il primo studio scientifico, grazie alle analisi condotte con le moderne tecniche (dell'epoca) dal chimico Fausto Sestini, che evidenziò le notevoli differenze fra tale aceto rispetto a qualunque altro tipo.

La Produzione

L'intero processo di produzione dell'ABT inizia dalla spremitura dell'uva e termina con la valutazione gusto-olfattiva del prodotto invecchiato. I passaggi produttivi sono ben determinati, dalla cottura del mosto d'uva, alla fermentazione alcolica, dalla biossidazione acetica mediante acetobatteri al lento invecchiamento in barili di legno.

L'ingrediente di base è il mosto d'uva cotto. Le uve utilizzate sono i trebbiani (di Spagna, di Castelvetro...), i lambruschi (in tutte le loro varietà), Ancellotta, Sauvignon, Sgavetta, Berzemino, Occhio di Gatta ed in generale le uve dei vigneti iscritti alle DOC delle provincie di Modena e Reggio Emilia. La resa massima delle uve ammesse è limitata a 160 quintali/ettaro.

Le uve devono essere necessariamente coltivate nei territori provinciale di riferimento, caratterizzati da un lieve tenore calcareo e dalla presenza di macro e micro elementi. Anche l'intero processo produttivo deve svolgersi all'interno della medesima area geografica, caratterizzata da inverni rigidi ed estati decisamente calde, che rendono possibili i processi unici e particolari necessari per il corretto sviluppo del prodotto.

Cottura del mosto d'uva

La cottura (gergalmente detta "cotta") del mosto d'uva di almeno 15 gradi saccarometrici (°Bx), privo di qualsiasi additivo, avviene a pressione naturale, a fuoco diretto ed in recipienti aperti per circa 12-24 ore ad una temperatura minima di 30 °C, fino alla riduzione a circa 2/3 della massa totale. Per l'ABTM, a differenza di quanto previsto dal disciplinare dell'ABTRE che prevede una concentrazione minima di 30°Bx, non è previsto un minimo di concentrazione degli zuccheri, ed anzi il tempo minimo di cottura è definito in 30 minuti. Tale tempo non è però minimamente sufficiente a produrre quelle profonde modificazioni fisiche e chimiche che necessariamente devono connotare il prodotto finale. Al contrario, temperature di cottura troppo alte, magari associate a tempi lunghi di ebollizione, potrebbero portare a cristallizzazioni indesiderate degli zuccheri, a rallentamenti della fermentazione alcolica ed alla produzione di composti furanici come il 5-idrossimetilfurfurale (HMC)[11], per cui la tendenza scientifica più recente è quella di cotture fra i 75-90 °C, per non oltre 14 ore, con una riduzione del mosto fino a 28-30°Bx al massimo[12].

La cottura ferma tutte le reazioni enzimatiche che vengono rapidamente iniziate dalla catecolo ossidasi, e causa la scolorazione del mosto con la deattivazione indotta dal calore delle proteine. Al contempo l'imbrunimento del mosto è dovuto a reazioni chimiche non-enzimatiche dovute alla conversione degli zuccheri ed alla formazione di melanoidine ad alto peso molecolare[13], e più in generale all'effetto della reazione di Maillard. L'evaporazione induce la degradazione degli zuccheri (in particolare il fruttosio), a seguito della loro disidratazione in ambiente acido (che perdura anche durante i lunghi anni di invecchiamento dell'ABT, della caramellizzazione e della stessa reazione di Maillard. Infine l'evaporazione induce la concentrazione degli zuccheri stessi, degli acidi organici, dei polifenoli, con il conseguente innalzamento della densità, della viscosità, dell'indice di rifrazione, mentre si abbassa il valore di pH.

Fermentazione alcolica

Immagine di Saccharomyces cerevisiae ottenuta con un microscopio a contrasto interferenziale
La fermentazione degli zuccheri, in presenza di concentrazioni zuccherine non troppo elevate, si innesta immediatamente, e prosegue nei mesi invernali. È dovuta a lieviti del genere saccharomyces, prevalentemente saccharomyces cerevisiae, e del genere zygosaccharomyces (lieviti osmofili e fruttosofili), in particolare lo zygosaccharomyces bailii. I primi sono maggiormente apprezzati per gli aromi che conferiscono al prodotto, mentre i secondi (che prolificano in ambienti a più alta densità zuccherina o ad elevata acidità) dovrebbero essere non prevalenti. Questo tipo di fermentazione è pressoché identica a quella che avviene per il mosto crudo, come lo sono i lieviti prevalentemente coinvolti, e difatti la resa di etanolo è pari a 0,6 gradi di alcol etilico per 1 grado di zucchero, analogamente a quanto avviene per il vino.

In passato vi era la convinzione di una interazione commensalistica fra i saccaromiceti e gli acetobatteri, per cui la fermentazione alcolica e la biossidazione acetica sarebbero avvenute simultaneamente. Studi recenti hanno dimostrato che in realtà una concentrazione di acido acetico superiore al 3% del volume totale impedisce la vita anche ai più resistenti zigosaccaromiceti[14], e per questo motivo la tendenza più recente è quella di gestire la fase della fermentazione alcolica separatamente dal resto del ciclo, con contenitori (tini, damigiane o botti) separati dalla "batteria" vera e propria.

Maturazione e Invecchiamento

Una volta fermentato ed acetificato, il prodotto inizia la fase di maturazione ed invecchiamento, due fasi caratterizzate dall'effetto degli enzimi dispersi nel liquido dall'autolisi dei microrganismi (fermenti ed acetobatteri). Gli enzimi catalizzano processi chimico-fisici che originano sapori e profumi sempre più complessi, senza però essere coinvolti nelle reazioni stesse (per cui al loro termine saranno "pronti" a catalizzarne di nuove). Al termine di tale fase di maturazione, detta "enzimatica", con il drastico ridursi delle reazioni catalizzate dagli enzimi, si innescano processi di ossidazione e ossiriduzione che danno origine a ulteriori modificazioni delle proprietà chimico-fisiche dell'aceto, spingendosi fino alla formazione acidi umici, e facendo raggiungere un equilibrio fra le sostanze fisse e volatili (ciò che gli assaggiatori chiamano "armonia matura ed amalgamata" del prodotto).

Oltre a ciò, durante gli anni di maturazione ed invecchiamento, l'aceto balsamico tradizionale subisce una continua concentrazione, a causa della perdita di volume acquoso mediante evaporazione. Generalmente il "calo annuale" si attesta sull'8-15% per le botti più grandi, dette "di testa", incrementando fino al 12-25% per i barili più piccoli ("di coda").

L'invecchiamento è legato innanzitutto al tempo che l'aceto trascorre all'interno dei vari barili (la cosiddetta "batteria") definito come "età" o "tempo di residenza", ma anche a tutti i cambiamenti dipendenti dal tempo che occorrono nelle proprietà chimiche, fisiche e sensoriali dell'aceto balsamico tradizionale ("tempo fisico di maturazione")[18].

La fase di maturazione dura all'incirca dieci anni: assommata ai circa 2 anni necessari per la fermentazione ed acetificazione del prodotto di partenza, ciò giustifica i 12 anni richiesti come requisito minimo per la definizione di ABT. I 25 anni richiesti per il prodotto extra vecchio sono invece definiti in modo arbitrario, poiché i processi enzimatici ed ossidativi non hanno praticamente fine, durando ininterrottamente per secoli.

Per permettere questi continui scambi di ossigeno, vapor acqueo e sostanze volatili, è fondamentale che l'ABT sia conservato ed invecchiato in contenitori sostanzialmente aperti: la disponibilità di botti per il trasporto del vino alle isolate osterie di campagna (generalmente di modeste capacità), e l'accumularsi di un bagaglio di esperienze e tradizioni, ha probabilmente indotto l'utilizzo di piccoli barili di legno per la maturazione e conservazione del prodotto, al posto di altre forme di contenitori (damigiane di vetro, anfore...). Ed infatti il legno garantisce scambi con l'ambiente esterno non solo attraverso il cocchiume di apertura, ma anche mediante la sua porosità, durante tutte le fasi di vita del balsamico tradizionale. La batteria va collocata necessariamente in un luogo che risenta delle escursioni termiche fra il giorno e la notte, ma ancor di più fra l'estate e l'inverno: il processo di acetificazione, infatti, richiede una temperatura ambientale superiore ai 20-22 °C, al di sotto dei quali gli acetobatteri rimangono in stato di quiescenza. Per converso, il freddo invernale è necessario a rallentare il processo evaporativo e a far sedimentare sul fondo le sostanze mucillaginose e le parti corpuscolate del liquido, nonché a garantire una decisa attività delle parti odorose. Ed infatti ancor oggi le botti trovano collocazione nei sottotetti delle case, in modo da esporre l'aceto in invecchiamento tanto ai rigidi inverni quanto alle afose estati emiliane. Le grosse acetaie, con decine se non centinaia di batterie, sono sovente collocate in vecchi fienili riadattati, oppure in moderni capannoni studiati appositamente per garantire l'effetto delle stagioni.

Fonte informazioni: Wikipedia